Museo storico di Piana delle Orme

Lazio | Borgo Faiti (LT)

Il luogo e le vicende

Il territorio compreso tra Cisterna e Terracina e tra il mare Tirreno e Monti Lepini, esteso per circa 100.000 ha, dal 1927 al 1939 fu teatro dell’operazione di bonifica e di colonizzazione dell’Agro Pontino, cui fu aggregato anche il territorio corrispondente al consorzio n. 5 dell’Agro Romano. Quel territorio, a partire dal settembre 1943, divenne teatro di guerra e conobbe lutti e distruzioni. Littoria, la pianura e i centri dei Monti Lepini, furono occupati a partire dall’8 settembre 1943, quando le truppe tedesche, lungo la via Appia, vinsero la generosa ma fragile resistenza dei reparti militari prima a Monte San Biagio, poi a Terracina. Nei giorni e nelle settimane successive il territorio cominciò ad essere attraversato da profughi dal fronte meridionale e diretti a centri di raccolta a Roma e in altre località. Il comando militare tedesco, insediatosi a Littoria, esautorò il prefetto di ogni funzione di governo: ogni provvedimento destinato ad incidere sulla vita delle popolazioni sarebbe stato assunto dall’autorità militare tedesca sulla base delle esclusive urgenze degli interessi tedeschi e della conduzione delle operazioni belliche. Così, altri gruppi di popolazione furono costretti ad arretrare prima verso zone più interne della pianura, poi anch’essi nei territori dei Lepini a seguito dell’ordine dato dal comando tedesco di arretrare di 5 km rispetto alla costa. In tale fascia i tedeschi collocarono campi minati e difese antisbarco. Nella fascia tra Terracina e il Circeo, dopo avere manomesso e sabotato le aree portuali, provvidero a sabotare anche le opere di bonifica e a sommergere i territori del retroterra. La popolazione non dovette subire soltanto l’allontanamento dai poderi e delle abitazioni, ma anche il saccheggio delle provviste e le requisizioni del bestiame. Questo fu concentrato nel recinto dell’aeroporto bombardato di Littoria, dove nottetempo audaci piccoli gruppi di contadini sfidavano la sorveglianza e si recavano a recuperarlo per poi tenerlo nascosto in forre inaccessibili nei canaloni sulle colline. Anche gli impianti della bonifica – in undici idrovore su quindici – furono oggetto di razzia di macchinari e pezzi di ricambio, ivi compresi motori delle motozattere e delle diserbatrici dei canali: operai e tecnici, organizzati in piccole squadre clandestine, talora, a rischio della vita, riuscirono a sottrarre e tenere nascosti componenti importanti. In altre circostanze, rischiando anch’essi la esecuzione sul posto, nuclei di due o tre contadini si recavano nelle zone sgomberate per recuperare qualche oggetto o utensile, indumenti o coperte, un sacchetto di fagioli o un pezzo di lardo. Queste forme di lotta non armata di Resistenza – individuate fin dal 1964 – furono quasi le uniche che potevano essere messe in atto in un territorio ad alta presenza tedesca. Il 5 gennaio 1944 una squadra di partigiani sovietici presenti nei Castelli Romani si spinse fino nei pressi di Cisterna ed attaccò due camion tedeschi causando alcuni morti tra i militari. Si ha anche notizia di due presenze organizzate dovute soprattutto al rapporto tra civili del posto e militari sbandati dopo l’8 settembre. Nella fascia costiera tra il Circeo e i borghi Montenero, Hermada e Vodice, un gruppo che aveva contatti con il gruppo romano di Bandiera Rossa riuscì a promuovere con alcuni pescatori qualche passaggio di informazioni e uomini verso Ponza che era sotto controllo degli angloamericani. Invece, sulle colline dei Lepini, tra Norma-Sermoneta e Carpineto-Segni all’interno, il gruppo che poi fu detto Banda dei Monti Lepini, che aveva contatti con i partiti del CLN e con il FMCR, operava raccogliendo e trasmettendo informazioni militari ed anche qualche sabotaggio alle linee di comunicazione e alla viabilità e trovava appoggio presso Marguerite Chapin Caetani e presso i monaci cistercensi dell’Abbazia di Valvisciolo.

Anche i bombardamenti alleati segnarono profondamente il territorio, specialmente tra l’estate del 1943 e quella del 1944. La stazione ferroviaria e l’aeroporto di Littoria, già colpiti da un mitragliamento nel marzo, subirono bombardamenti il 9-10, 15, settembre, 7, 10 e 15 ottobre e ancora il 27 gennaio 1944, ma l’aeroporto era già di fatto distrutto l’8 settembre. Con essi fu più volte colpito il confinante Borgo Carso. Anche due centri costieri, Terracina e San Felice Circeo, furono ripetutamente oggetto di dodici bombardamenti il primo e ben 45 incursioni il secondo. Furono colpite anche le altre due “città nuove” di Pontinia (quattro volte) e Sabaudia (una volta) e, inoltre, comuni collinari che avevano territori in pianura, come Sezze (tre volte) e Sermoneta (due volte). Altri comuni colpiti furono quelli il cui territorio era nella Valle dell’Amaseno o ad essa contiguo, che doveva essere attraversato per collegarsi con la provincia di Frosinone: Roccagorga, Maenza, Prossedi (due volte), Priverno (cinque volte) Sonnino (due volte). Un evento che incise profondamente nella realtà del territorio e della popolazione fu lo sbarco degli angloamericani nella notte del 22 gennaio sulle spiagge di Anzio e Nettuno. Sul momento, lo stabilirsi della testa di ponte non ebbe ripercussioni dirette, ma avviò una serie di altri eventi che produssero sconvolgimenti notevoli. Così i bombardamenti che si ebbero in più punti dopo tale data e soprattutto quelli in zone cardine sulle comunicazioni come Cori (30 gennaio) e soprattutto Cisterna dal 26 al 29 gennaio, che fu rasa totalmente al suolo costringendo la popolazione a rifugiarsi per 126 giorni nelle grotte/cave di pozzolana che erano sotto il paese, in particolare al Palazzo Caetani. Nuovi bombardamenti, in particolare su Velletri e su Cisterna, cercarono di indebolire le forze tedesche, i cui comandi, per avere mano libera, costrinsero all’evacuazione forzata le popolazioni delle aree più coinvolte: particolarmente massiccia fu quella del 19 marzo da Cisterna, la cui popolazione fu avviata in diversi luoghi e soprattutto verso lo stabilimento Breda sulla via Casilina, dove l’obiettivo era di separare gli uomini validi dal resto delle loro famiglie e destinarli al lavoro coatto. I tedeschi esercitarono una pressione crescente sulla testa di ponte sottoponendola a pesanti cannoneggiamenti, cui risposero bombardamenti degli alleati sempre più intensi, oltre agli attacchi risposte da terra. Per circa tre mesi vi fu uno stallo che – anche in relazione agli esiti sul fronte di Cassino – cessò solo in maggio. Gli Alleati tuttavia reagirono con energia, lanciando – dopo l’ennesimo bombardamento – il 21 maggio le truppe britanniche alla conquista di Aprilia. Al sud della Pianura Pontina, nello stesso giorno, provenienti dal fronte meridionale, le truppe alleate da Monte San Biagio risalivano il Monte Sant’Angelo e dopo combattimenti impegnativi scendevano su Terracina, che conquistavano a partire dal 23. Frattanto, lo stesso 23 maggio le forze statunitensi attaccavano in forza verso Cisterna riuscendo a sfondare la linea, penetrando tra le rovine dell’abitato e dopo una battaglia durissima l’indomani, riuscirono a controllare l’intero territorio e isolare il caposaldo tedesco, che travolsero nettamente il giorno successivo: la via per Roma venne tagliata controllando la fascia tra Campoleone, Velletri e Cori-Giulianello. Il 25 riuscivano anche a occupare Littoria e poi Pontinia, ricongiungendosi con i reparti provenienti da Terracina. Il 29 maggio, dopo avere esteso il controllo a tutta la zona settentrionale della provincia, l’area pontino-lepina era completamente liberata.

Il Museo è parte di un complesso di attività agricole, turistico-ricettive, commerciali che segna l’evoluzione di un’originaria azienda agro-floreale. Il proprietario, appassionato cultore di memorie rurali, iniziò a collezionare materiali e documenti visivi sulla bonifica e colonizzazione dell’Agro Pontino. In seguito allargò la raccolta a cimeli e reperti relativi alle vicende militari della seconda guerra mondiale e nel 1996 volle che esse fossero aperte al pubblico. Da allora, e anche dopo la morte del fondatore, avvenuta nel 2006, le raccolte si accrebbero progressivamente per acquisti e donazioni continue e fu necessario ripensare e riorganizzare l’insieme, anche per fare fronte a crescenti afflussi di visitatori, ormai giunti a livelli di massa. “Piana delle Orme” è inserita in questa rassegna nonostante ci siano molti dubbi sulla possibilità di distinguere tra Museo (per il quale la definizione internazionale ICCOM richiede l’assenza del fine di lucro) e il resto dell’attività aziendale. “Centro agrituristico De Pasquale” è scritto sull’insegna, rendendo evidente la finalità commerciale. L’esposizione è realizzata in ben diciannove padiglioni, suddivisi in due sezioni, definite rispettivamente settore agricolo e settore bellico. Ogni padiglione è dotato di pannelli informativi in italiano, inglese e tedesco, di impostazione prettamente didattica. I primi padiglioni sono dedicati alle trasformazioni ambientali, territoriali, economiche e sociali connesse con la bonifica e colonizzazione dell’Agro Pontino operata dal fascismo a partire dal 1927, anche se il discorso sulle scelte per la bonifica e sui conflitti che le accompagnarono è superficiale e scarsamente critico dal punto di vista storiografico. Con una consistente documentazione, soprattutto fotografica, viene posta attenzione all’ambiente, alla vita e alla società delle diverse aree dell’Agro senza fare eccessive distinzioni fra le diversità dei luoghi e delle condizioni sociali. Altri padiglioni sono dedicati alla vita nei campi, all’esposizione di mezzi agricoli d’epoca, di giocattoli e modellismo, fino ad arrivare a quelli dedicati al percorso bellico, articolato in ben sei padiglioni che però non rispecchiano molto le vicende del territorio nei mesi della guerra. Le esposizioni dei materiali, mezzi, veicoli, oltre a migliaia di reperti, vengono accompagnate da immagini, filmati e testi che intendono documentare i drammatici avvenimenti, nel tentativo di aiutare a collocarli nel tempo e nello spazio. Secondo progetti scenografici precisi, oltre che l’esposizione di fotografie, carte topografiche e cimeli, vengono ricostruite scene mediante manichini in divisa e disposizioni di automezzi e pezzi di artiglieria. Pannelli esplicativi dovrebbero fornire elementi di contestualizzazione.

I caratteri stessi dell’iniziativa non presuppongono un particolare discorso critico, ma seguono un orientamento divulgativo sulla scia delle esposizioni manualistiche delle rappresentazioni della tradizionale storiografia delle Forze Armate. Altri padiglioni espongono oltre 300 mezzi militari, e ricostruiscono le vicende più generali della campagna d’Italia nel secondo conflitto mondiale, dall’Africa settentrionale allo sbarco in Sicilia, da Anzio al fronte di Cassino Al di fuori di qualsiasi contestualizzazione rispetto alle altre parti dell’esposizione, interpretando positivamente un clima culturale diffuso e sollecitazioni del mondo scolastico, soprattutto dopo l’istituzione del Giorno della Memoria, nel 2013 è stato allestito anche un padiglione sulla deportazione e l’internamento. Nonostante vi siano pannelli esplicativi ed illustrativi precisi e documentati, non si riesce a cogliere fino in fondo la differenza delle due esperienze concentrazionarie: manca ogni riferimento alla terza, il lavoro forzato in Germania e Polonia, cui furono destinati anche uomini dell’area pontina e laziale e i poco meno di 1000 romani del rastrellamento del Quadraro. Alternando realismo e simbolismo, le scene che vengono ricostruite – con il solito impiego di mezzi tecnici (camion, locomotive, carri bestiame, ecc…) – risultano molto spettacolari e inducono più ad impressionare che a far riflettere. Soprattutto, è difficile cogliere i nessi – che pur ci sono e che la storiografia ha individuato – fra queste e le altre manifestazioni del totalitarismo fascista e nazista.