Emilia Romagna | Monchio di Palagano (MO)
- resistenza in montagna
Il luogo e le vicende
Quella di Monchio, comune montano in provincia di Modena, è una delle stragi naziste e fasciste più rilevanti avvenute in Italia tra il 1943 e il 1945, anche se fra quelle meno conosciute. In regione è seconda, come numero di vittime, solo a quella di Monte Sole. Agli inizi del 1944, Monte Santa Giulia era uno dei centri dell’Appennino di maggiore espansione partigiana, e proprio per arginare questa presenza, tra gennaio e febbraio furono compiuti alcuni rastrellamenti e azioni contro i civili: il 16 febbraio i parroci di Savoniero e Monchio furono arrestati e trasferiti a Modena, il 28 dello stesso mese, 150 abitanti di Monchio furono arrestati e portati nel campo di Fossoli, da dove furono liberati solo nei giorni successivi la strage. L’8 marzo, in coincidenza con la scadenza dell’ennesimo bando di arruolamento nell’esercito della Rsi, in tutto l’Appennino si avviarono pesanti azioni di rastrellamento. Mentre a Pieve di Trebbio il 12 marzo e a Cerrè Sologno il 15 marzo le formazioni partigiane attaccate furono scompaginate, nella zona di Montefiorino toccò a fascisti e tedeschi ripiegare. Altrove, come a Palagano il 9 marzo o a Monchio il 16, i partigiani tentarono di reagire colpendo militi della Gnr, ufficiali e soldati tedeschi e successivamente spostandosi in zone più sicure. La rappresaglia tedesca non si fece attendere e, il 17 marzo, giunsero in zona da Modena e Bologna due compagnie del reparto corazzato esplorante della divisione Hermann Göring. In tutto 200 uomini, ai quali se ne aggiunsero altri 300 forniti dalla gendarmeria tedesca, dalla Gnr e dall’esercito fascista. A Montefiorino fu portata invece una batteria contraerea tedesca da 88 mm. Alle prime luci del 18 marzo iniziò il cannoneggiamento su Monchio, Susano e Costrignano. Alcuni degli abitanti, terrorizzati, abbandonarono le case più esposte e cercarono riparo, altri invece rimasero nei pressi delle proprie abitazioni e stalle. Alle 7 le truppe tedesche partirono da Savoniero: appena arrivati a Susano, sospesero il cannoneggiamento e diedero inizio al massacro. Le case furono razziate di tutto, dalle derrate alimentari agli oggetti di valore fino al bestiame e poi, in un rituale tristemente noto, molte di loro vennero date alle fiamme. A Lama di Monchio, ad esempio, furono incendiate 17 abitazioni su 24. Nel frattempo alcuni civili furono costretti a trasportare il materiale depredato fino a Monchio, dove furono poi uccisi assieme agli altri. Neppure i bambini furono risparmiati: a Vallimperchio vennero uccisi tre bambini di 4, 5 e 7 anni, alla Buca di Usano 3 bambini di 3, 8 e 10 anni. Ad essere uccisi furono però prevalentemente uomini. Alla sera i cadaveri erano 129: 71 a Monchio, 34 a Costrignano e 24 a Susano. A questa triste conta vanno aggiunti sette civili uccisi prima e dopo la strage, che portano il totale a 136 morti. Tra questi, 6 erano bambini di età inferiore ai 10 anni, 7 ragazzi tra i 10 e i 16 anni, 7 donne di cui una all’ultimo mese di gravidanza, 20 anziani ultrasessantenni di cui uno semi paralizzato. Due giorni dopo, gli stessi reparti responsabili della strage di Monchio si scagliarono su Cervarolo, nell’alto Appennino reggiano, dove furono uccisi 24 abitanti del borgo, compreso il parroco. Anche la strage di Monchio, Susano, Costrignano e Savoniero finì nei fascicoli dell’“armadio della vergogna” ‒ cioè tra quei procedimenti “provvisoriamente archiviati” dalla Procura militare di Roma negli anni Sessanta ‒ e solo dopo la loro scoperta, nel 2005, sono ripartite le indagini, prima da parte della procura militare di La Spezia e poi di Verona. Alla fine sono stati rinviati a giudizio 7 tra ufficiali e soldati della divisione Hermann Göring. La sentenza di primo grado ha condannato all’ergastolo 3 imputati, ma solo uno di questi è stato confermato dalla sentenza d’appello presso il Tribunale militare di Roma.
Nell’immediato dopoguerra, per un lungo periodo la memoria della strage di Monchio rimase confinata all’ambito locale. Solo dopo la nascita del comune di Palagano nel 1958, che assorbì anche le frazioni colpite dalla strage – fino ad allora dipendenti dal comune di Montefiorino –, si cercò di agire sia sul piano del ricordo pubblico sia su quello della ricostruzione storica per non cancellare la memoria di quegli eventi. Tra le iniziative per la costruzione della memoria della Seconda guerra mondiale che ha profondamente segnato questi luoghi, si inserisce, negli anni Settanta, l’istituzione del Parco della Resistenza di Monte Santa Giulia ad opera della Provincia di Modena. In occasione del cinquantesimo della Resistenza, è stato poi realizzato il Memorial Santa Giulia, un complesso scultoreo a ricordo della strage del 18 marzo 1944 e del ruolo dei partigiani della montagna. Inaugurato nel 1994, il memoriale è costituito dalle opere di 14 artisti italiani e stranieri (Miguel Ausili, Raffaele Biolchini, Italo Bortolotti, Jean T. Cassamajor, Francesco Cremoni, Rami Gavish, Quinto Ghermandi, Wang Kuo Hsien, Renzo Margonari, Yoshin Ogata, Graziano Pompili, Dino Radulescu, Pinuccio Sciola, Paolo Sighinolfi), coordinati da Italo Bortolotti con la collaborazione di Carlo Federico Teodoro. La presenza di artisti di nazionalità diverse doveva simboleggiare l’universalità del messaggio di pace, e allo stesso tempo la necessità di rivendicare collettivamente, a prescindere dall’origine nazionale, diritti che appartengono a tutti. Pur presentando aspetti di continuità con esperienze analoghe di realizzazione di memoriali a ricordo di eventi bellici, il memoriale introdusse scelte innovative perché gli artisti si allontanarono dal realismo tipico dei monumenti dedicati alla Resistenza fino a quel momento, cercando di dare voce a sentimenti e sensazioni. Accanto al memoriale, all’interno della sala conferenze del Centro Servizi, una mostra permanente ripercorre le fasi di costruzione dell’opera e illustra ogni statua e l’intento di ogni autore. Dal 2013 la gestione del Parco è stata assunta dall’Istituto storico della Resistenza di Modena, in collaborazione con diverse istituzioni e comuni del territorio, compresa l’Associazione famigliari delle vittime della strage di Monchio, Susano, Costrignano e Savoniero.
- via Monsignor Pistoni 19 - Monchio di Palagano (MO)
- 370 3003214
- info@parcosantagiulia.it
- http://www.parcosantagiulia.it
- Ermanno Gorrieri, La Repubblica di Montefiorino. Per una storia della Resistenza in Emilia, Il Mulino, Bologna, 1966.
- G. Franzini, Storia della Resistenza, Anpi, Reggio Emilia, 1966.
- P. Alberghi, Attila sull’appennino. La strage di Monchio e le origini della lotta partigiana nella valle del Secchia, Istituto storico della Resistenza, Modena 1969.
- A. Remaggi, C. Silingardi, C.F Teodoro, Le montagne della libertà. Immagini per la storia della Repubblica partigiana di Montefiorino, Modena 1994.
- Claudio Silingardi, Una provincia partigiana. Guerra e Resistenza a Modena 1940-1945, Franco Angeli, Milano 1998.
- Ermanno Gorrieri, Giulia Bondi, Ritorno a Montefiorino. Dalla Resistenza sull'Appennino alla violenza del dopoguerra, Il Mulino, Bologna 2005.
- Vito Paticchia (a cura di), Guerra e resistenza sulla linea Gotica tra Modena e Bologna 1943-1945, Modena 2006.
- Claudio Silingardi, Metella Montanari, Storia e memoria della Resistenza modenese, Ediesse, Roma 2006.
- G. Fantozzi, Monchio 18 marzo 1944. L’esempio, Modena 2006.
- Claudio Silingardi, Alle spalle della Linea Gotica. Storie, luoghi, musei di guerra e Resistenza in Emilia-Romagna, Modena 2009.
- Toni Rovatti, Fra politiche di violenza e aspirazioni di giustizia. L’esperienza di guerra della popolazione civile vittima delle stragi di Monchio e Tavolicci (1943-1944), Carocci, Roma 2009.
- G. Fantozzi, Il volto del nemico. Fascisti e partigiani alla guerra civile. Modena 1943-1945, Modena 2013.